Daughters of Destiny, su Netflix dal 28 luglio, è diretto da Vanessa Roth, premio Oscar nel 2008 per il cortometraggio Freeheld
C’è un particolare di Daughters of Destiny: The Journey of Shanti Bhavan, un particolare che coinvolge ed è alla base costitutiva della docu-serie realizzata dalla regista Vanessa Roth per Netflix, disponibile dal 28 luglio: la capacità di raccontare la tradizione territoriale di un popolo quando riesce ad affrancarsi dai suoi aspetti più arcaici. Guardando al futuro senza rinunciare alla sua identità. Accade a Shanti Bhavan, letteralmente “oasi di pace”, scuola nell’estremo nord dello Stato del Tamil Nadu, a est di Bangalore, in India, fondata nel 1997 dal Dott.
Abraham M. George. Il perché chiamarla oasi è presto detto. Siamo in una delle zone rurali dell’India, dove il meccanismo della suddivisione in caste non contempla miglioramenti sociali per gli strati di popolazione più bassi, confinati, in una mortificante prospettiva da eterno ritorno, a sguazzare nella povertà e nell’analfabetismo di generazione in generazione. Beninteso, povertà, in India, significa mancanza di luce, di acqua corrente, di elementari forme di assistenza medica. Ma anche di orizzonti progettuali, perché se i riferimenti aspirazionali non ci sono, non possono certo essere vagheggiati. Ed è lì che la fondazione della scuola ha acquisito un senso preciso: da 20 anni, ogni anno, 250 bambini di età compresa tra i 4 e i 18 anni provenienti dalle zone più povere del Paese, vengono convinti – vincendo una strenua resistenza da parte delle famiglie – a frequentarla, ad apprenderne il metodo didattico semplice e efficace, che parte da un gioco, da un dialogo, e innesca il sentimento più utile allo sviluppo della conoscenza: la curiosità.
La docu-serie descrive il percorso di cinque ragazze, Shilpa, Karthika, Manjula, Preetha e Thenmozhi – non è un caso che siano ragazze, considerata la condizione femminile di molte zone dell’India – seguite all’interno della scuola per un arco temporale di sette anni.
Vanessa Roth , premio Oscar nel 2008 per il cortometraggio Freeheld (e figlia dello sceneggiatore Eric Roth), con la colonna sonora di A.R. Rahman, vincitore di due Oscar e un Golden Globe per The Millionaire, rinuncia a orpelli retorici, le telecamere sono soltanto bassorilievi funzionali al racconto di una realtà generazionale in movimento. Rappresentata benissimo da Shilpa Anthony Raj, una delle protagoniste, che oggi ha 23 anni e ha condensato la sua esperienza in un libro, La figlia del domatore di elefanti: «La prima volta che ho messo piede nella scuola avevo quattro anni, quando guardo i bambini appena arrivati capisco esattamente cosa stanno provando. Ripenso alle mie esperienza di vita, al primo ballo di valzer o al giorno in cui mi sono diplomata». Shanti Bahvan, oggi diretta da Ajit George, figlio del fondatore, snocciola numeri lusinghieri: il 98 per cento dei suoi ragazzi successivamente si laurea, il 97 per cento trova un lavoro a tempo pieno.
A poco a poco, la mancanza di prospettive si trasforma in un orizzonte un po’ più colorato di prima. Con ripercussioni utili per tutta l’India, che annovera già, tra l’altro, alcune delle giovani menti più brillanti del mondo in campo scientifico. Il prossimo 9 novembre a New York, presso il Bowery Hotel, Shanti Bhavan terrà un Gala per celebrare l’anniversario dei 20 anni della fondazione dell’istituto e per raccogliere fondi finalizzati alla costruzione di una seconda scuola. C’è chi parla di miracolo che si compie, ma i miracoli, alle volte, sono solo eventi straordinari che hanno bisogno di ingredienti ordinari come volontà e buon senso per essere realizzati. E di un bravo narratore per essere documentati.
Gabriele Gambini
(Nella foto un momento di Daughters of Destiny)